Quando si parla di nuove generazioni in qualsiasi ambito ci si trova necessariamente ad affrontare il problema della precarietà ed a maggior ragione va affrontato in relazione al diritto al futuro.
La precarietà è una condizione esistenziale totalizzante, investe ogni aspetto della vita. La mancanza di solidità nelle basi materiali crea infatti una mancanza di prospettive future, producendo rapporti malati, da “consumatore”, con la natura, il tempo, la famiglia, la percezione di sé, i rapporti interpersonali e la vita stessa…
È sintomatico il rapporto morboso delle nuove generazioni con le droghe o la vita di un universitario che percepisce il proprio essere futuro precario.
Il rapporto con il tempo è alterato, si ha una sorta di dilatazione del presente, mentre il senso del futuro è annullato.
Parlare di diritto al futuro significa combattere la precarietà che da problema lavorativo diventa problema esistenziale. Combatterla significa riappropriarsi di tempi e di spazi, migliorare la qualità di vita stessa.
La condizione precaria invade ogni campo, è indicativo il fallimento della politica nella forma partitica. Creare un’unione a sinistra che non sia solo formale implica il raccoglimento di soggettività che fanno politica ma che non si sentono rappresentate. Bisogna fornire attualmente risposte complesse per una realtà che è complessa.
Al centro di questo nuovo soggetto ci dovrebbero essere i contenuti che riguardano l’ambiente, il femminismo (la questione di genere non è una tematica del passato, basti pensare agli sconcertanti dati riguardanti le violenze domestiche), la pace e la non violenza, l’avanzamento della democrazia (attraverso lo scardinamento del rapporto morboso e apparentemente inestricabile tra economia e politica), la precarietà e il lavoro, i diritti e la democrazia…
Ma parlare di futuro significa anche parlare di ambiente, di risorse, di gestione del territorio.
Le lotte fatte fin ora spaziano dall’acqua al petrolio e così via, vogliamo cambiare il punto di vista, sottraendoci a quella logica di gestione territoriale che vede l’economia come motore di tutto. Ma la stessa economia, lo stesso sviluppo possono essere intesi in modo diverso, in un’ottica che includa prospettive future più ampie.
Viviamo attualmente in una regione che non progetta, bensì affida incoscientemente le proprie ricchezze a multinazionali. È spaventosa questa miopia nel governo di tutte le risorse. È stata attuata una privatizzazione di beni che devono essere comuni e inalienabili, la necessità attuale è quella di porsi in netta antitesi rispetto queste gestioni aziendalistiche che distruggono il territorio ed il paesaggio con conseguenze disastrose a breve e lungo termine.
Viviamo in una Basilicata crivellata dai pozzi petroliferi (basti pensare che il 60% del territorio regionale è interessato da estrazioni petrolifere), in cui la gestione dell’acqua è regolata da leggi inadeguate ed approssimative…
Garantire un futuro è sinonimo di garantire l’accesso ai beni comuni, non solo materiali, ma anche immateriali come la cultura e quindi il diritto allo studio. Anche in questo campo il governo regionale ha dimostrato la propria scarsa lungimiranza, preferendo ad investimenti sul diritto allo studio e sui futuri talenti un “patto con i giovani” che è assolutamente slegato dalle nostre realtà territoriali e da ogni logica di sviluppi futuri.
L’obbiettivo da raggiungere, per dare un futuro alle nuove generazioni, è quello di uno sviluppo che sia sostenibile (ricordando il significato dato da Bruntland all’espressione, incontrare le necessità del presente senza compromettere quelle del futuro) dal punto di vista ambientale e umano.